Studiare la storia delle religioni potrebbe essere molto utile a quei cristiani che vogliono riscoprire le proprie radici. Da dove derivi, ad esempio, l’idea di dignità della persona. “Non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero”: con queste parole san Paolo afferma una novità straordinaria per la cultura ebraica, romana e greca del suo tempo, e cioè l’uguaglianza in dignità, davanti a Dio, di ogni creatura umana. Uguaglianza che nessuna filosofia o religione non cristiana contemplava.
Per capire dunque quanto sia nuovo il messaggio evangelico, possiamo fare qualche esempio.
Tutti conoscono la condizione della donna nelle società animiste, dove vige spesso la poligamia; altrettanto conosciuta è la condizione della donna islamica, ancora oggi fortemente discriminata in base alla saggezza popolare, che porta ad esempio a regole proverbiali in cui è chiara l’equiparazione tra la donna e una creatura inferiore: “Se passa un asino, una donna o un cane nero, la preghiera deve essere ripetuta”[1]
Meno conosciuta è invece la visione propria dell’induismo. Anzitutto questa religione non prevede l’uguale dignità di ogni creatura. Infatti in India gli uomini sono divisi a seconda della casta cui, senza libera scelta, appartengono.
Ancora oggi circa 150 milioni di indiani sono fuoricasta, intoccabili, o dalit. Costoro sono condannati ad “attività contaminanti”, a lavori infimi (cremare cadaveri, pulire le fogne…), ad una condizione di assurda inferiorità, e non possono in alcun modo mutare la loro condizione. Benché oggi, grazie all’influsso europeo e cristiano, qualcosa stia cambiando, i fuoricasta rimangono, almeno in parte, come quando nessuno poteva avvicinarli, toccarli, o solo vederli, senza rimanere contaminato; come quando erano costretti a girare con un campanello attaccato alla caviglia, o a urlare la loro presenza, perché gli appartenenti a caste superiori potessero allontanarsi in tempo, pena la bastonatura, o persino la morte[2].
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