Talvolta si sente dire che la Chiesa negava l’esistenza dell’anima delle donne. Spesso questa diceria viene sostentuta da chi, all’anima, non crede. E da chi non crede, neppure, nell’intelligenza e nella cultura di chi lo ascolta. Chi non sa, infatti, che la Chiesa ha sempre venerato Maria, come madre di Dio? Che sin dai primi secoli ha posto sugli altari, per la venerazione dei fedeli, tantissime donne?
Ma allora come è nata questa favola?
Al II concilio di Macon, nel 585 d.C., un vescovo aveva detto ai suoi confratelli che la “donna non poteva essere chiamata uomo” (dicebat mulierem hominem non posse vocari). Il problema, spiega lo storico Moisset, era di ordine linguistico: “era il caso di applicare alla donna il termine generico homo, che designa l’essere umano, o bisognava chiamarla femina o mulier? Dal momento che l’evoluzione del latino parlato tendeva ad assimilare homo (essere umano) a vir (essere umano di sesso maschile), l’oratore chiedeva che si prendesse atto del nuovo uso, riservando homo all’essere umano di sesso maschile. Gli altri vescovi non erano di quell’avviso e hanno risposto che bisognava cercare di esprimersi, oralmente e soprattutto per iscritto, in buon latino, di conseguenza era giusto continuare a chiamare homo la donna”. Tutto qui.
Eppure, un millennio dopo questi fatti, un polemista calvinista, Pierre Bayle e i suoi epigoni, spacciarono come dato storico inconfutabile il fatto che dei vescovi avevano negato alla donna, l’anima.
Di seguito una pagina da J.P. Moisset, Storia del cattolicesimo, Lindau, Torino, 2008:
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